mercoledì 20 ottobre 2010

La tristezza di Maria

Maria è una donna profondamente infelice. Forse dalla nascita o forse qualcosa l'ha disturbata nella prima infanzia. Una infelicità chiusa nel suo cuore e mascherata dietro enormi, strani, falsi sorrisi. Gli occhi di Maria visti nelle foto non brillano mai. Foto fatte quando lei non si accorge ma anche quando è in posa, non cambia nulla: la luce non si accende. Maria porta sopra di se un fardello che forse le stato lasciato in eredità da una progenie agguerrita di sfortune e ielle. Una raccolta a mani basse di tutte le brutture e storture. Maria sembra il ritratto vivente de “le colpe dei padri cadranno sui figli”. Ha provato a curare la sua tristezza con vari farmaci ed ha avuto anche qualche discreto successo. Ma per brevi effimeri periodi. La tristezza le sale dalla gola e come un liquido vischioso le chiude bocca e naso per poi devastarle il cervello. Anche la vista si annebbia. Si sente inutile, dimenticata da tutti, non apprezzata. Maria soffre, Maria è sensibile. Una sensibilità che la porta vicino agli altri ma che al contempo la allontana. Tutti vogliono da lei quello spirito allegro che lo gnomo dispettoso degli umori fra intravvedere di quando in quando. Ma dentro c'è solo una profonda incapacità ad apprezzare la vita. Cosa può fare per lenire il suo dolore? Scrivere? Fare lunghe passeggiate? Forse. In effetti serve al momento che lo fa ma come la penna incide il punto ovvero il suo passo si ferma, la schiuma vischiosa invisibile riprende a salire. Era rimasta lì in fondo alla gola, gorgogliante e minacciosa ma in fondo. Ne sentiva la presenza ma non l'avvertiva sulla lingua, nelle cavità nasali, lo stallo la rielegge regina del suo essere. Cosa può fare Maria?


Quando io mi sento come Maria cerco di immaginare di camminare, di scrivere. Mi racconto qualcosa o penso di accarezzare un prato di margherite. Insomma distraggo la mente dal pensiero angosciante di una tristezza che attenaglia. Può bastare? Probabilmente no ma forse può evitare che diventi sempre più cocente e paralizzante. Mi concedo il tempo necessario perchè un evento esterno catturi la mia attenzione allontanandomi dal circolo vizioso di un dolore che si autoalimenta.

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